Scritti

Le mie tele rappresentano bambini con le loro paure e la loro giocosa spensieratezza; anziani con la loro esperienza e il tempo contato e adulti spalmati nella vita ricolma di appuntamenti e futilità di ogni genere, tutti poggiati su pavimenti, un suolo incapace di sorreggere l’uomo e le sue debolezze terrene, origine e meta inevitabile allo stesso tempo del nostro degenerante corpo.

Tra cielo e terra. Sono composizioni di fragili esseri limitati nel tempo, subissati e annebbiati dalla turbolente vita contemporanea, fatta di impegni, i più imposti e poveri di intenti, e di corse a perdifiato verso mete dettate dal consumo sistematico.

Teste incomplete e fuori inquadratura come a voler definire l’impossibilità di concepire le potenzialità delle nostre menti per più alti pensieri, per più alte visioni che ci potrebbero rendere quasi divini. Mezze teste per non definire il singolo ma per far immedesimare chiunque si osservi nella tela, come riflessi in uno specchio opaco.

Esseri affiancati e sospesi tra la terra fangosa e l’idea di quello che li sovrasta, il cielo. Uomini, donne e bambini, giovani e anziani, rappresentati così come siamo, fragili e celestiali, forti nelle piccolezze delle nostre rapide vite e tragicamente deboli nei grandi movimenti cosmici. Esseri condannati a lottare per guadagnarsi il diritto di vivere il tempo a loro concesso nel miglior modo possibile, mitigando l’assurdo con tutto il bagaglio del torbido e dell’estatico che ogni uomo può o vuole mettere in campo.

E’ evidente che le letture, i pochi libri che mi sono passati sotto agli occhi, in primo luogo quelli legati all’esistenzialismo (Kierkegaard, Sartre e Camus), hanno influenzato il mio pensiero rendendo il mio lavoro inevitabilmente intriso di umana malinconia per il non-senso della vita.                                                                                                                                                                                                   

Marzo 2017

English version

My canvases represent children with their fears and their playful carefree; seniors with their experience and time counted and grown up in life full of appointments and futility of all kinds, all on the floor, a floor unable to support man and his earthly weaknesses, origin and destination inevitable at the same time our degenerating body.

Between heaven and earth. They are compositions of fragile beings who are limited in time, subjugated and blurred by the turbulent contemporary life, made of commitments, the most impoverished and poor of intent, and rushing to drift towards goals dictated by systematic consumption.

Incomplete and out-of-the-head heads as if to define the impossibility of conceiving the potentialities of our minds for higher thoughts, for higher visions that might make us almost divine. You have to test not to define the individual but to make anyone look in the canvas, like reflections in a matt mirror.

They are side by side and suspended between the muddy earth and the idea of ​​what is over them, the sky. Men, women and children, young and old, represented as we are, fragile and celestial, strong in the smallness of our quick lives and tragically weak in the great cosmic movements. Being condemned to struggle to earn the right to live the time granted to them in the best possible way, mitigating the absurd with all the baggage of the turbid and the eastern that every man can or wants to put in the field.

It is evident that the readings, the few books that I have seen under the eyes, primarily those related to existentialism (Kierkegaard, Sartre and Camus), have influenced my thinking, making my work inevitably intrinsic to human melancholy for the non-sense of life.

March 2017
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Il francese Georges Perros nel suo Papiers collés del 1960-1978 persuadeva “il pittore degno di questo bel nome a lavorare prelevando frammenti di sogno invischiati e inghiottiti nel corpo appiccicoso del reale”. Quando ci si confronta con le opera di Fabrizio Cordara le parole dello scrittore parigino acquistano forma, colore, dimensione, volume. Sprazzi di vita ordinaria, correnti di pensieri fluttuanti, brandelli emotivi trafugati a estranei vengono estrappolati dalla loro verità e poi immortalati su superfici ruvide come l’asfalto, sul quale si consuma l’esistenza umana. Sono istantanee di realtà frenetiche, erranti, scandite da minuti fagocitati con una smania delirante. Il tempo è un autocrate che non permette al singolo di riflettere sulla propria condizione, lo istiga a rincorrere mete che perdono costantemente il loro valore essenziale, lo accompagna lungo una terra che assorbe gli ideali più nobili fino a nebulizzarli in delusione che non ha occasione di digerire. Le opere di Cordara evocano fra malinconia e asfissia le parole del sociologo polacco Zygmunt Bauman: “il progresso sta a indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è diventato una sorta di gioco delle sedie senza fine e senza sosta, in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione irrevocabile. Invece di grandi aspettative e sogni d’oro, il progresso evoca un’insonnia piena di incubi di essere lasciati indietro, di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un veicolo che accellera in fretta”. La mente dell’uomo contemporaneo è oppressa da varie forme di arrivismo, è usurata da un inesauribile ricerca di soluzioni, varianti o redenzioni liquide e sfuggenti. Gli istanti a sua disposizione vengono consumati da una tendenza a incalzare espedienti spicci e sbrigativi piuttosto che assaporare, agguantare, osservare e penetrare con consapevolezza l’universo che lo ospita. Questa inquieta tendenza a focalizzare ogni singolo senso su concetti futili e irrilevanti determina un’involuzione della specie umana, un’atrofizzazione dell’intelletto e un’avvilente regressione sentimentale. Come ha espresso l’artista piemontese, siamo esseri “forti nelle piccolezze delle nostre rapide vite e tragicamente deboli nei grandi movimenti cosmici”. Le tele su cui lavora sono superfici incrostate dai detriti di questa società del consumo, da scontrini di prodotti che ci uniformano agli attuali modelli di mercato, da scorie di oggetti che riteniamo necessari per la sopravvivenza, ma in realtà sono solo artifici per soddisfare bisogni più intrinseci. Nelle sue opere, tuttavia, ciò che trasporta la rifelssione dell’osservatore non è tanto quello che è evidente nell’inquadratura, ma quanto viene lasciato volutamente fuori campo. Le mezze teste di Fabrizio Cordara vogliono far immedesimare chiunque tenti di scoprire un po’ di sé nel dipinto, come fossero riflessi in uno specchio opaco.

Valentina Falcioni

Giugno 2016 – 6^ Edizione Marche Centro D’Arte

English version

Frenchman Georges Perros in his Papiers collés of 1960-1978 convinced “the painter worthy of this beautiful name to work by picking up dream fragments invaded and swallowed in the sticky body of the real”. When confronted with Fabrizio Cordara’s work, the words of the Parisian writer acquire form, color, size, and volume. Ordinary life spells, fluctuating thought currents, emotional shivers interfered with strangers are extracted from their truth and then immortalized on rough surfaces such as asphalt, which consumes human existence. They are snapshots of frantic, wandering reality, marked by minute phagocytes with a delusional smell. Time is an autocrat that does not allow the individual to reflect on his own condition, instigates him by pursuing goals that constantly lose their essential value, accompanies him along a land that absorbs the noblest ideals to nebulize them into disappointment that has no occasion to digest. The works of Cordara evoke between melancholy and asphyxia the words of Polish sociologist Zygmunt Bauman: “Progress is indicative of the threat of an inexorable and inevitable change that instead of promising peace and relief promises nothing more than continuous crises and afflictions without a moment The progress has become a kind of endless and uninterrupted game of play where a moment of distraction translates into irreversible defeat and irrevocable exclusion. Instead of great expectations and golden dreams, progress evokes insomnia full of nightmares being left behind, losing the train, or falling from the window of a vehicle that accelerates quickly. ” The mind of contemporary man is oppressed by various forms of arrivism, is worn by an inexhaustible search for liquid, elusive solutions, variants or redemptions. The instants at his disposal are consumed by a tendency to stir up spiky expedient rather than savor, grasp, observe, and penetrate with awareness the universe that hosts it. This turbulent tendency to focus every single meaning on futile and irrelevant concepts leads to an involution of the human species, an asphyxiation of the intellect, and an enchanting sentimental regression. As the Piedmontese artist expressed, we are “strong in the smallness of our quick lives and tragically weak in the great cosmic movements.” The canvases on which they work are surfaces encrusted by the debris of this consumer society, from product coupons that match us to current market models, from the waste of objects we deem necessary for survival, but are actually just artificial to meet more needs intrinsic. In his works, however, what transports the observer’s reflection is not so much what is evident in the picture, but what is left deliberately off-field. The half heads of Fabrizio Cordara want to identify anyone who tries to find out a little about themselves in the painting, as if they were reflected in an opaque mirror.

Valentina Falcioni

June 2016 – 6th Edition Marche Center of Art

 

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Fabrizio intervista Fabrizio

Maggio 2013

 

– Perché dipingi?

Mi verrebbe da rispondere con un’altra domanda: cosa altro dovrei fare…? Abbraccio completamente la frase di Gerard Richter: ”… si arriva al punto di credere che sia possibile cambiare gli uomini attraverso la pittura. Se manca questo coinvolgimento passionale, non si può fare nulla, è meglio lasciare stare, perché fondamentalmente dipingere è un’idiozia totale.”.

Cerco di toccare la sensibilità dell’osservatore. Dipingo per creare una realtà diversa da quella filtrata dall’occhio. Ogni cosa è vista in un modo diverso dipingendo. E’ sicuramente più cerebrale. Un conto è parlare di un colore, un altro è crearlo e riportarlo sulla tela con le proprie mani. Dipingere quotidianamente è una forma di religione. Cervello e mani. Dipingo perché è una necessità, come mangiare e fare l’amore.

 

– Come dipingi?

Chiariamo subito che non voglio creare l’illusione. Non voglio rappresentare qualcosa che possa sembrare vero. Preferisco rappresentare qualcosa che possa sembrare vivo. Sono molto più vicino alla materia che alla superficie. Preferisco lo “sporco” al “lindo”. Inizio il mio lavoro ancora prima del colore. Quello che sta sotto il colore ha la medesima importanza. Prima del colore amo spezzare la superficie piana della tela con l’applicazione di segatura, carta, cartoncini, fogli di giornale e juta. A dire il vero trovo interessante usare per questa fase, scontrini fiscali e i buoni omaggio più svariati, per la loro forma regolare e per quello che rappresentano. Proseguo con la realizzazione del tema in maniera abbastanza precisa per poi usare striature, colature e sgocciolature di colore. Termino il tutto con colpi di velature. Ottengo così, almeno credo, un superamento del reale fotografico, quello “sporco” che ho citato prima.

– Quali sono i tuoi soggetti?

Il mio attaccamento viscerale con l’essere umano, con il corpo, con la carne, ha fatto si che ne rimanessi legato per diversi anni. Ora, dopo un periodo di lavoro sull’urbano, sulla città e uno sulla natura, mi trovo a dire che non ho un soggetto particolare. Mi scopro ogni volta più duttile. Rimane su tutto un forte interesse per carpire l’animo umano e tutto quello che rappresenta la parte non visibile dell’uomo. Mi attraggono tutte le sensazioni che si nascondono nelle pieghe della carne. Bacon per questo è un grande insegnante.

L’importante è riuscire a emozionarsi nel “fare” per cercare di lasciare una traccia in chi guarda. Sicuramente l’atto del dipingere per me è, ogni volta, un viaggio introspettivo, un percorso in un terreno instabile: l’io.

Sartre, Burroughs, Bauman, per citarne alcuni, mi sostengono molto nei miei momenti di “bassa”

 

– E per le persone sedute o rappresentate dalla cintola in giù, cosa mi dici?

Ho l’urgenza di dichiarare il mio tempo. Quando leggo certi libri, come ad esempio quelli del sociologo Zygmunt Bauman con i suoi concetti sulla “società liquida”, non posso fare a meno di vedere e rappresentare sulla tela quello che mi gravita intorno, metabolizzando le debolezze dell’uomo che mi sta vicino e sviluppando la mia visione sulla tela. E’ nato così questo ciclo di lavori dove rappresento figure a mezzo busto su vasti pavimenti. Estremità di uomini, donne e soprattutto adolescenti tutti affiancati nella speranza di momenti migliori, di una nuova era di solidità e stabilità. Come uno specchio porto l’osservatore a guardare i piedi di figure non riconoscibili ma dove può facilmente identificarsi, non in atto di sottomissione ma per meglio far comprendere su quale mondo ”liquido” ci stiamo adagiando.

Mi piace citare Italo Calvino con la frase del suo libro Le città invisibili:

L’inferno dei viventi è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi è cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

 

– Perché usi la fotografia?

Non mi sento un’artista da cavalletto all’aperto. Ho bisogno della riservatezza del mio studio e della solitudine del mio studio, della mia musica nello studio. La fotografia mi permette di essere distaccato. Di controllare lo spazio e le sue proporzioni. Di ragionarci per diversi giorni. La foto rende l’oggetto da rappresentare freddo, senza vita. Sono io, con i miei mezzi, che ricreo la materia. Un quadro è materia pulsante. La foto, dalla quale sono partito, è un’immagine a due dimensioni senza vita.

– A che età hai incominciato?

Dico tardi, purtroppo… Avevo trent’anni quando sono riuscito a superare il timore reverenziale che avevo nel confronto con i Maestri che studi a scuola. Da allora non mi sono più fermato, nonostante le difficoltà e gli impegni che la vita ti propina. Sono sempre stato molto bravo con la matita, questo si. Sono nato con la “dote” … come dicono alcuni… Non posso dimenticare la maestra di disegno delle medie quando a mia madre consigliò, per il mio futuro scolastico, il liceo artistico. Non posso dimenticare un disegno di mio padre, una testa di cavallo, che i miei occhi hanno immortalato quando avevo una decina d’anni.

– Gli artisti che prediligi?

Freud, Hopper, Rauschenberg, Rothko, Burri e Bacon su tutti. Tra i viventi: Ritcher, Kiefer e Baselitz. Della mia età, all’incirca: Doig, Conroy, Siciliano, Galliano e Frangi. Amo tutta l’arte, anche perché, come diceva qualcuno: “non esiste l’arte astratta o informale, tutto è riconducibile al figurativo”. Amo Mondrian, Motherwell e Constable, di quest’ultimo soprattutto alcuni sui lavori molto gestuali per il periodo. Amo lo studio sulla prospettiva di Piero della Francesca e la ricerca sui colori di Masaccio. Il giallo di Van Gogh ed il blu di Klein. La gestualità “danzante” di Pollock. Casorati è stato il mio primo grande faro.

Amo tutta l’Arte. Cos’altro dovrei aggiungere?

English version

Fabrizio interviewed Fabrizio

May 2013

- Why do you paint?

I would answer another question: what else should I do …? I completely embrace Gerard Richter’s phrase: “… you get to the point of believing that it is possible to change men through painting. If this passion is lacking, nothing can be done, it is better to leave it, because basically painting is a total idiocy. “

I try to touch the observer’s sensitivity. I paint to create a reality different from that filtered by the eye. Everything is seen in a different way by painting. It’s definitely more cerebral. An account is about a color, another is to create it and bring it back to the canvas with its own hands. Painting everyday is a form of religion. Brain and hands. I paint it because it is a necessity, like eating and making love.

- How did you paint?

Let’s just say that I do not want to create the illusion. I do not want to represent something that may seem real. I prefer to represent something that may seem alive. They are much closer to matter than to surface. I prefer “dirty” to “lindo”. I start my work even before the color. What’s under the color is of the same importance. Before the color amo break the flat surface of the canvas with the application of sawdust, paper, cardboard, newspaper sheets and jute. To be honest I find it interesting to use for this stage, tax returns and the most varied gifts, for their regular form and for what they represent. I continue to make the theme quite accurate and then use streaks, dots and dripping of color. Finish all with velvet shots. I get this, at least I believe, overtaking the real photographic, the “dirty” I mentioned earlier.

- What are your subjects?

My visceral attachment with the human being, with the body, with the flesh, has made it stay tied for several years. Now, after a period of work on the city, the city, and one on nature, I find myself saying that I do not have a particular subject. I find myself more and more flexible every time. There is a strong interest in carving the human soul and everything that represents the unseen part of man. I am attracted to all the sensations that hide in the folds of the flesh. Bacon for this is a great teacher.

The important thing is to be able to thrill in the “do” to try to leave a trace in the lookout. Certainly the act of painting for me is, every time, an introspective journey, a path to an unstable terrain: the self.

Sartre, Burroughs, Bauman, to name a few, are very supportive in my moments of “low” …

- And for the people sitting or represented by the waist down, what do you tell me?

I have the urgency to declare my time. When I read certain books, such as those of sociologist Zygmunt Bauman with his concepts of “liquid society”, I can not help but see and represent on the canvas what is gravitating around, metabolizing the weaknesses of the man who is near me and developing my vision on the canvas. This cycle of work was born, where I represented busty figures on vast floors. End of men, women and especially teenagers alongside in the hope of better moments, a new era of solidity and stability. As a mirror I bring the observer to look at the feet of unrecognizable figures but where it can easily be identified, not in submission but to better understand what “liquid” world we are laying on.

I like to quote Italo Calvino with the phrase of his book Invisible Cities:

“Hell of living is something that will be; if there is one, that is what is already here, the hell we have every day, that we form together. There are two ways to escape suffering. The first one is easy for many to accept hell and become part of it to the point of not seeing it any more. The second is risky and requires constant attention and learning: to seek and to know who is in the midst of hell is not hell, and to make it last and to give it space.

- Why do you use photography?

I do not feel like an outdoor stand artist. I need the confidentiality of my study and the solitude of my studio, of my music in the studio. Photography allows me to be detached. To control space and its proportions. To think about it for several days. The photo makes the object to be cold, lifeless. It is I, by my means, that I recreate matter. A picture is a button matter. The photo from which I started is a two-dimensional image.

- At what age did you start?

I say late, unfortunately … I was thirty when I was able to overcome the reverential fear I had in comparison with the Masters studying at school. Since then I have not stopped, despite the difficulties and the commitments that life prolongs you. I’ve always been very good with pencil, that’s right. I was born with the “dow” … as some say … I can not forget the medium design teacher when my mother advised for my future schooling the art high school. I can not forget my father’s design, a horse’s head, that my eyes have immortalized when I was ten years old.

- The artists you love?

Freud, Hopper, Rauschenberg, Rothko, Burri and Bacon on all. Among the living: Ritcher, Kiefer and Baselitz. From my age, roughly: Doig, Conroy, Siciliano, Galliano and Frangi. I love all art, also because, as someone said, “there is no abstract or informal art, everything is attributable to the figurative”. I love Mondrian, Motherwell and Constable, the latter especially some of the very gestural work for the period. I love the study on the perspective of Piero della Francesca and the research on the colors of Masaccio. Van Gogh’s yellow and Klein’s blue. The “dancing” gesture of Pollock. Casorati was my first major lighthouse.

I love all the art. What else should I add?